martedì 6 settembre 2011

Riflessioni sulla crisi - di PierGiorgio Gawronski, Il Fatto Quotidiano

La crisi del 2008-2012 è una catastrofe. In Italia, la caduta del Pil, sommata alla perdita di nuova produzione potenziale, supera largamente il 10% del Pil: oltre 150 miliardi buttati via, come dimostra la tabella sotto. Lo stato italiano ha perso in questi anni almeno 65 miliardi di entrate, oltre a subire un rilevante aumento delle uscite (cassa integrazione, ecc.). Senza la crisi il debito pubblico oggi non sarebbe al 120% del Pil, ma al 107%, e non ci sarebbe nessuna crisi del debito. I privati italiani (imprese e, soprattutto, famiglie: oltre un milione di nuovi disoccupati, ecc.) hanno perso redditi per almeno 85 miliardi di euro nel 2010: 3.870 euro a famiglia; cui si aggiunge la caduta della ricchezza mobiliare e immobiliare. Inoltre, le medie nascondono grandi diseguaglianze. Un bombardamento non avrebbe causato tanti danni.



TASSI DI CRESCITA %


2008 2009 2010 2011 2012 Totale

Pil potenziale 1.2 1.2 1.2 1.2 1.2 -6

Pil reale -1.33 -5.24 1.25 0.6 0.2 -4.5







-10.5
Fino al 2008 il problema dell’Italia era il basso tasso di crescita dell’offerta, del Pil potenziale (o ‘di piena occupazione’), che Banca d’Italia e altri stimano all’1,5% (per prudenza io stimo 1,2%) annuo. Per anni ci siamo accalorati sui problemi dell’offerta (corruzione, mala politica, liberalizzazioni, eccesso di spesa pubblica, giustizia, ecc.), che frenavano la produttività. E non ci siamo accorti che la causa della poca crescita del Pil era cambiata. L’apparato produttivo – cresca o non cresca (rigo 1) – non viene più pienamente utilizzato (rigo 2): non c’è domanda. Anzi, la carenza di domanda riduce gli investimenti, e alla lunga l’apparato produttivo.

Ci hanno detto che sostenere la domanda in Europa non si può, non serve. Che l’ortodossia (cioè la compressione della domanda) monetaria (Bce), fiscale (nella seconda metà del 2010 quasi tutti i paesi europei hanno sposato la linea del rigore dei conti pubblici) e le riforme strutturali (dell’offerta) avrebbero ricreato la fiducia, che avrebbe rilanciato la crescita. Purtroppo, questa strategia non ha funzionato.

Eppure, sostenere la domanda è facile, molto più che l’offerta. La domanda è fatta di piccoli pezzetti di carta che vengono presentati al negoziante in cambio di beni. Sostenere la domanda significa dare più soldi a chi spende la più alta percentuale del suo reddito. Significa imporre per legge nuovi investimenti (nuove regole ambientali?). Ecc. ecc.

La crisi è figlia di nessuno. Tremonti: “Era imprevedibile!” Marcegaglia (ancora il 13 luglio scorso): “Io penso che quello che stiamo facendo sia sufficiente … noi non siamo la Grecia, … i conti [sono] in ordine”. I neoliberisti (non paghi della débacle della deregolamentazione finanziaria, delle figuracce di S&Poors ecc.) continuano a dileggiare le loro caricature delle proposte keynesiane, e a insistere sulla “fiducia” che le politiche ortodosse prima o poi scateneranno. Gli asini volano. Whatever.

La crisi morale del nostro paese è evidente soprattutto quando la classe dirigente e i ricchi si rifiutano di fare la loro parte. Certo, i costi della politica, gli evasori. Ma anche le sleali furbizie di Sacconi. Anche le proteste contro il piccolo contributo di solidarietà per i redditi sopra 90mila euro. Marcegaglia: “È una misura depressiva e iniqua”; ma cara signora, ogni taglio, ogni prelievo è “depressivo”, solo che togliere ai ricchi (che risparmiano molto di più) è meno depressivo che togliere ai poveri. Quanto all’equità, beh, lasciamo stare. Ma per fortuna abbiamo ancora risorse morali.

I rischi che stiamo correndo sono abnormi. Se la sfiducia dei mercati continua, ci sono due possibilità:
A) La Bce continua a difendere i titoli italiani: l’Europa si ritrova nel giro di pochi mesi un’iperinflazione superiore al 100% l’anno, la demonetizzazione e un crollo della produzione e dei redditi reali.
B) La Bce rinuncia alla difesa dei titoli italiani: noi ci ritroviamo con almeno un altro milione di nuovi disoccupati, e forse cinque; il sistema bancario europeo salta; lo tsunami finanziario investe il mondo.

La crisi ha una soluzione? Sì! Non è l’Efsf (che tutti aspettano con ansia); e neppure gli Eurobond (intesi come strumento di sostegno dei titoli sui mercati): troppo poco, troppo tardi! I debiti dei Piigs ammontano a 3.300 miliardi: una cifra insostenibile per i paesi europei. L’Efsf ha fondi limitati, quindi non è credibile sui mercati.

La soluzione è un accordo fra Piigs (soprattutto l’Italia), i paesi europei (Germania), e la Bce che preveda tagli strutturali e riforme serie nei primi, reflazione (aumenti salariali) nei secondi, e una esplicita garanzia sui titoli pubblici da parte della Bce. Il cui effetto sarebbe l’immediato crollo degli spread sui mercati finanziari.

Se invece la Bce continua a fare la sua parte a metà (difende i titoli italiani ma dice che non lo farà a lungo, così incentivando le vendite), perché non si fida di un governo italiano che fa la sua parte a metà (manovra annacquata) e la Germania resta alla finestra a recriminare contro gli italiani inaffidabili, il disastro è garantito. La Germania pensi alle sue responsabilità nel prolungare questa crisi europea, che ha mandato alle stelle i nostri debiti (e alle sue banche).

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